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mercoledì 4 aprile 2012

Governo di Tecnici, Governo di Politici: critiche

di Francesco Mancin

Il "governo Monti" ha quasi sei mesi di vita, 13 fiducie sonanti chieste ed ottenute al Parlamento, un bel gruppetto di facce seminuove e qualche riforma pseudo-epocale sul groppone. Eppure, sembra che politici, politicanti, opinionisti e cittadini siano ancora cristallizzati sul filosofico problema del "governo dei tecnici"-"governo dei politici".
Innanzitutto alcune precisazioni:
  • Il primo Ministro Monti è stato incaricato dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, e se questa figura istituzionale e la Costituzione hanno ancora un senso, non si tratta di un incarico illegittimo, men che meno di un assalto alla Democrazia, bensì dell'applicazione sostanziale dei meccanismi costituzionali, dei quali si fa garante il Pres. della Repubblica, che non solo ha il diritto di intervenire ma ne ha praticamente l'obbligo;
  • Ricordiamoci che il nostro sistema repubblicano non è presidenziale (nel quale si votano Premier ed alcuni rappresentanti), bensì parlamentare (si votano i rappresentanti che andranno a comporre il parlamento), quindi non siamo di fronte ad un golpe, ma ad uno stravolgimento del solo comparto esecutivo (il governo), concesso costituzionalmente, per evitare situazioni di stallo derivanti da assenza del potere centrale;
  • Quanto detto al primo punto non elimina tuttavia la consapevolezza che, trattandosi di un Governo nascente da una rottura istituzionale precedente (la crisi del Gov. Berlusconi), sia necessaria una certa prudenza nell'operato, poichè resta saldamente fermo il principio secondo il quale le riforme ampie ed importanti vadano approvate soltanto dopo una profonda riflessione alla quale dovrebbero concorrere l'universalità delle "parti sociali", delle forze politiche, e delle estrazioni civili di maggior rilievo;
Detto questo, non ritengo auspicabile l'uso di decretazioni d'urgenza (decreti legge e decreti legislativi), per proporre e mandare in approvazione sistemi normativi che sì sono "urgenti", ma rientrano in quel vasto schema di riforma che necessitano dibattito e riflessioni.
Venendo al dunque, se il "governo Monti" fosse meramente "tecnico", l'esecutivo si limiterebbe a far funzionare la macchina statale così come l'ha ereditata traghettandola fino a prossime elezioni, in modo molto simile a quanto succede per province e comuni commissariati. Sbagliarono quindi giornali nazionali ed europei quando scrissero di "commissariamento dell'Italia".
Essendo invece, e mi sembra palese, l'operato governativo piuttosto incalzante e radicale, mi sento di definirlo assolutamente "politico". 

Ma, alla fine dei conti, ha senso parlare di tecnico o politico? Questa è la vera domanda, questa è la vera convinzione che vorrei abbattere.
Partiamo dai significati:
  • Ritengo che il significato comune-giornalistico di tecnico sia basato sulle informazioni identitarie dei soggetti di potere: Monti e la squadra provengono dalla comunità scientifica universitaria, non sono politicanti nè di lunga data nè di carriera esclusiva, sono carichi di fama derivante da pubblicazioni ed attività riconducibili alla loro professione. La fiducia che li sostiene si conforma a queste informazioni, cosicchè questi vengono avvertiti più come esperti che come leader carismatici. Sarebbero pertanto persone scelte per le loro competenze in materia;
  • Politico si rifarebbe invece ai soggetti estratti direttamente dalla carriera politica, carriera nel senso assolutamente distorto che porta a farne una vera (e redditizia) professione. Tali persone si dovrebbero quindi sorreggere su carisma, capacità di mediazione, capacità di trascinare e prendere decisioni, visibilità e potere economico, l'ultimo sicuramente entrato nei criteri di giudizio dell'elettore medio grazie all'era antropocentrica e anti-solidaristica del berlusconismo.
Ora, a me questa distinzione pare assolutamente fantasiosa.
Una prima critica a questo sistema dicotomico potrebbe essere l'inflazionato concetto del: "se metti un esperto a capo di un sistema politico, le sue azioni saranno obbligatoriamente politiche, pertanto questi non è da considerarsi un "tecnico/esperto". Tuttavia, senza volermi soffermare sulla verità logica  o meno di questo enunciato, ritengo che il problema sia innanzitutto di riconoscimento semantico (errori sul significato) e quindi molto più profondo e radicale.
Non ha senso infatti separare le sfere della "politicità" da quella della "tecnicita'". Mi spiego: abbiamo spesso (io sempre) rimproverato a politici ed amministratori la scarsa preparazione appunto tecnica adatta ad affrontare alcuni problemi. Ad esempio questioni in ambito economico, questioni interpretative giuridiche e giurisprudenziali, questioni mediche legate alla bioetica. Tale rimprovero è sempre rimasto inascoltato e disatteso, cosicchè l'esecutivo si è dovuto rimpolpare con veri esperti che coadiuvassero stabilmente le figure politiche, il che ha fatto certamente lievitare i cosiddetti "costi della politica". Giusto per ricordarlo riporto alla superficie il vero grimaldello che permise a Berlusconi di penetrare in parlamento: il bisogno di un imprenditore a capo dello stato. Ciò successe perché appunto l'opinione pubblica si crea su una visione miope del "tecnico".
Bisogna quindi riunire nel politico la sfera del tecnico, il primo deve essere l'insieme che contiene il secondo. Non si può pensare ad un buon amministratore, ad un buon parlamentare in qualche commissione che non abbia la suddette competenze in materia. Lo stato non è un'azienda, dove l'imprenditore o l'amministratore delegato possono permettersi di non avere neanche un quinto delle conoscenze del loro ingegnere progettista, perchè lo stato non fabbrica e vende merci, ma si occupa della maggior parte degli aspetti della vita del cittadino. Tuttalpiù del semplice carismatico se ne può fare un pacere, un mediatore, ma dubito che un mediatore senza competenze possa dirimere questioni tecniche o specifiche. 
In secondo luogo non credo che le sfere siano divisibili perchè non ha senso coltivare l'idea che il pregio del politico sia lo sguardo generalista col quale egli riesce a ricondurre ogni aspetto della vita e della società entro i confini ideologico-morali suoi e dei suoi elettori. Tale teoria, oltre ad essere vagamente paternalista ed egocentrica, non rispecchia l'antropologica natura del presunto "tecnico", al quale la sua specializzazione di certo non nega la capacità di uscire dai suoi ambiti di studio/lavoro, capirli, giudicarli e trasformarli.
Inoltre non dimentichiamo che la politica dovrebbe essere un'attività accessoria della propria esistenza, ovvero non dovrebbe esistere la professione del politico. Purtroppo tale convinzione, nata chissà quando, si è fino ad oggi tramandata, così da essere ormai praticamente socialmente accettata. E' anche la concezione di una politica "professionalizzabile" che concorre a dividerla dalla esistente e normata "professione tecnica". Insomma un politico dovrebbe trarre dalla propria professione reale e concreta gli strumenti e le competenze per svolgere il suo mandato, e non invece trarre dal cursus honorum le astuzie efficaci a farne la propria aspettativa di vita. Ecco perchè pensioni e vitalizi parlamentari non dovrebbero esistere...
Vi lascio con un'ultima fotografia:
P.S.:Vorrei scrivere un saggio su questo argomento, ma intanto vi lascio con questi spunti, mi riservo per il futuro la possibilità di continuare...


1 commento:

Dennis Salvetti ha detto...

Come insisto sempre, chi pretende di voler fare informazione ha il dovere di (ovviamente) fare Informazione, il che comporta il crearsi una conoscenza sull'argomento discusso e successivamente renderlo pubblico. Ma questa peculiarità propria del Giornalismo, sembra non attecchire più di tanto nel sistema dei mass media italiani, che perseguono l’obbiettivo della spettacolarizzazione abbassandosi al livello delle chiacchere da bar, spesso risultando addirittura più qualunquista e ignorante. Tutto ciò nonostante esista un “Ordine dei giornalisti” che dovrebbe garantire la qualità e vegliare sulla veridicità delle notizie. Di conseguenza invece delle notizie emergono “nonnotizie” (non da confondere con il progetto nonciclopedico a sfondo goliardico “NonNotizie”) e grossolane mostruosità, non solo nell’abito giuridico qui espresso, ma anche in qualsiasi ambito che richieda una qualche forma di conoscenza approfondita.

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