di Fabio Zoboli
Philadelphia è una delle più antiche città degli Stati
Uniti, vi furono redatte la dichiarazione di Indipendenza (1776) e
la costituzione statunitense. Ma pur essendo così ricca di storia e
di stampo prettamente europeo, tra le metropoli della Costa Est è forse quella
che meglio rende l’idea del multiculturalismo, dato che la percentuale di
bianchi e afroamericani è pressoché sovrapponibile. Il Benjamin Franklin
Parkway, uno dei viali più celebri della città (spesso inquadrato anche nel
film), è poi un simbolo d’internazionalità, famoso universalmente per la fila
di bandiere di tutti i Paesi del mondo che costeggia entrambi i lati della
strada. La scelta quindi di questa metropoli, nonché la decisione di
renderla anche il titolo del film, comunica già un messaggio importante allo
spettatore: un luogo che per definizione dovrebbe essere l’emblema dei diritti
e della lotta contro ogni tipo di discriminazione. Ma non stiamo parlando di
colore della pelle in questo caso, ma di omosessualità.
L’ambientazione nel cuore degli anni Novanta rappresenta poi
la cornice ideale per trattare il tema dell’AIDS, malattia che raggiunse il
culmine della sua drammaticità prima del 1996, anno dell’introduzione della
HAART, la terapia antiretrovirale altamente attiva, che segnò un definitivo
progresso nella cura (anche se non nella guarigione) della patologia. Ancora
oggi non esiste un vaccino e 33,4 milioni di persone nel mondo vivono con
l'HIV/AIDS, con 2,7 milioni di nuove infezioni HIV all'anno e 2,0 milioni di
decessi annuali a causa di AIDS. Ma prima del 1996 questi dati erano ben più
allarmanti e oggi un paziente sieropositivo, soprattutto nel mondo occidentale,
pur con l’onere di una terapia per tutta la sua esistenza, può vantare una buona
qualità di vita, nonché un tasso di sopravvivenza impensabile prima
dell’introduzione dell’HAART.
La trama è semplice ma densa di significato: un giovane e brillante
avvocato, Andrew Beckett (interpretato sublimemente da Tom Hanks, vincitore dell’Oscar come migliore attore protagonista
per questa pellicola, anticipando il bis dell’anno successivo con Forrest Gump), viene licenziato con la
scusa di aver rischiato di perdere una pratica importante. Il protagonista, che
ha sempre tenuto nascosto la propria omosessualità per paura di essere
discriminato in un ambiente conservatore e perbenista come quello dell’alta
società americana, sa però che la verità è un’altra: i datori di lavoro si
sarebbero accorti della sua malattia a causa delle prime lesioni sul suo volto
e avrebbero deciso di allontanarlo con un pretesto. Beckett decide quindi di
far causa al suo stesso studio legale. Il film racconta le varie fasi del
processo, in cui a rappresentare Beckett c’è un secondo avvocato, Joseph Miller
(Denzel Washington), uomo di colore e
padre di famiglia dai sani principi, che ha l’incarico di dimostrare
l’esistenza di questa presunta discriminazione, dovendo vincere lui stesso i
pregiudizi verso il suo cliente omosessuale.
Un capolavoro cinematografico ancora attualissimo: come
sempre in Italia viviamo decenni dopo situazioni già viste Oltreoceano, basti
pensare alla xenofobia da noi all’ordine del giorno, che negli Stati Uniti
aveva avuto l’acme negli anni Cinquanta e Sessanta. E anche sul tema
dell’omosessualità, non ci facciamo mancare niente; cito solo due episodi, tra
le possibili centinaia: la recente polemica in seno al Partito Democratico per
la questione dei diritti delle coppie gay e il tema scottante dell’omofobia nel
mondo del calcio, in cui al di là delle celebri parole di Cassano (“Son froci?
Problemi loro..”), si denota una sostanziale incapacità di affrontare la
questione con serenità e alla luce del sole, sempre con il terrore che
l’omosessualità possa minare la sacralità dello spogliatoio. E qui mi fermo, ma
penso che chiunque di voi abbia conosciuto tutta una serie di persone, più o
meno intelligenti, che a parole predichi diritti per tutti ma poi concretamente
sia visibilmente nauseata nel vedere due uomini mano nella mano o peggio, scambiarsi
effusioni amorose… E non mi riferisco solo ad estremisti di destra, ma a buona
parte dell’emiciclo italiano!
Dunque ben vengano pellicole come Philadelphia, dove il potere delle immagini penso possa far
riflettere più di tante belle parole; perché se dal punto di vista medico sono
stati fatti passi da gigante nella lotta all’AIDS, non si può dire lo stesso
circa il livello di civiltà di un Paese che ambisce da sempre ad essere
annoverato nell’Europa che conta. Si spera non solo dal punto di vista
economico.
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