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mercoledì 14 novembre 2012

Libera DisInformazione [#1]

di Francesco Mancin
Il discorso, anzi lo speech contest usando un bel inglesismo, cresciuto intorno al concetto di informazione libera ha registrato in questi ultimi lustri un ampliamento ed un approfondimento piuttosto inaspettati. Ciò è sicuramente dovuto agli anticorpi che si sono creati in contrasto al berlusconismo mediatico ed alle altre pratiche giornalistiche parziali, tendenziose e sub-culturali, ma anche (e forse soprattutto) in relazione all'ipertrofica espansione delle fonti, dei fruitori e degli elaboratori dell'informazione. Sì può dunque sostenere che tale espansione sia stata certo salutata come una delle forme più alte, più democratiche e più libere nella storia del giornalismo e della divulgazione. Libertà, libertà perchè un enorme numero di utenti collaborano alla formazione e alla condivisione della "notizia", libertà perchè si vedono abbattuti i costi e per il produttore e per il consumatore. Libertà, appunto, soltanto formale. La sostanza, il contenuto, quelli sono sempre meno liberi.
La semiotica e la semantica (teoria della comunicazione linguistica di Jakobson) insegnano che i presupposti (gli elementi) della comunicazione sono parlante, ricevente, referente (ciò di cui si parla), il messaggio (l'atto concreto del comunicare), il canale (lo strumento di comunicazione), il codice (l'insieme della morfosintassi, la fonetica, la lingua, i vocaboli), il contesto (le conoscenze, il bagaglio di concetti comuni ai due comunicanti, il dato fattuale nel mondo reale riferito al discorso che è invece astrazione, ecc).
Tali presupposti, se sono necessari al barista per comunicare il prezzo del caffè al cliente, lo sono incomparabilmente per il giornalista, l'opinionista, il politico.
E, senza remore, affermo che sono tanto necessari quanto stravolti.
Una notizia presuppone un parlante ed un ricevente: tali capisaldi non presentano problemi di sorta, anzi sono   ontologicamente esistenti  sempre, poichè il significato stesso di notizia è fondato sul fatto che sia nota, quindi ascoltata. 
Importanti profili di critica sono invece plasmabili sul caposaldo del referente: uno scollamento deprimente tra significati e significanti (ad es.: l'idea mentale di industria ed il vocabolo industria) che crea profonde e diffuse incomprensioni e fraintendimenti, oppure il basso livello culturale della maggioranza degli utenti a fronte di un'ostentazione patetica dei produttori di notizie. Qui risiede per esempio la prima patologia dell'informazione contemporanea: la cancellazione delle pluralità naturali di significati rispetto ad un solo significante in favore di un unico e generico significato, ovvero la perdita della pregnanza del concetto sotteso e con esso di tutte le categorie logiche collegate. Un esempio chiave: le parole libertà e democrazia.
Il prodotto deve essere consumato (che ahimè, non coincide con l'idea di prodotto accessibile), pertanto bisogna semplificare, ridurre lo spazio, rendere pillola, vendere e convincere. Tutto a scapito del contenuto, dell'argomentazione, ed in definitiva della comprensione. La libertà di un partigiano era diversa dalla libertà di un mafioso e dalla Casa Delle Libertà: questo è ovvio perchè ce lo hanno spiegato (abbiamo gli strumenti per capirlo). Guardate ora quali danni ci trasciniamo per non aver mai definito e rispettato la pluralità della parola Integrazione. Vi è poi il fenomeno contrario, consistente nell'usare in modo troppo disinvolto più significanti per uno stesso significato (o il surrogato di esso). E ciò è anche peggiore, in quanto comporta la cancellazione non tanto di sfumature o di categorie logiche, ma di interi settori teorici che, proprio per la loro singolarità concettuale si sono evoluti e trasformati in singoli vocaboli. Un esempio su tutti: liberale, liberista, libertario, tre significati che non potrebbero essere più distanti e distinti.
Un uso disattento è sicuramente il risultato di inesperienza, imperizia, negligenza, ma spesso, e ciò è tristemente recente, palese e costante, è il frutto di premeditate costruzioni linguistiche. Basti pensare ai programmi elettorali, che subiscono un'edulcorazione piuttosto ridicola, oppure l'uso di slogan, doppi sensi non satirici e luoghi comuni sulle prime pagine (ma anche sulle seconde e le terze) di quotidiani e settimanali.
Il prezzo da pagare per questa incompletezza e questo assottigliamento logico è alto: innanzitutto una sorta di diffuso comportamento anestetizzato nei confronti di una società e di una politica che appare sulla stampa scontata e uguale, una perdita repentina di capacità critica (più si abitua alla banalità, più si ragiona in modo banale!), infine, quando c'è qualcosa di veramente grosso, ci si trova davanti l'imbarazzante situazione di fronteggiare i problemi (mai analizzati seriamente) o con la negazione pura o con la reazione violenta, ovvero con ciò che serve quando la parola non basta più. ...[continua]

3 commenti:

Luigi Marzano ha detto...

Bell'articolo, avevo notato il problema ma non avevo mai analizzato con tanta logicità le conseguenze collegate, ma quali sono le soluzioni? che strumenti abbiamo come individui?

Francesco Mancin ha detto...

Prossimamente le soluzioni :)

Anonimo ha detto...

A proposito delle parole abusate e strumentalizzate, eccovi una citazione da Don Milani: "Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall'altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri miei stranieri."
Giuditta

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