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martedì 6 novembre 2012

Quattro passi sotto terra.

 di Edoardo Marcarini


Dopo due buone settimane di assenza, torno per raccontarvi un'esperienza che ho deciso di affrontare un mesetto fa, nella speranza che due parole possano affascinarvi come è successo a me.
Parliamo di speleologia, che ho scoperto non essere un'attività così conosciuta, ossia la scienza che studia i fenomeni carsici, le grotte. Vedere la montagna in una prospettiva completamente nuova: dal chiuso, umido e contorto procedere delle sue viscere rocciose.


Ogni anno lo Speleo Club Orobico organizza corsi di introduzione alla speleologia, ad un prezzo accessibilissimo (paghi praticamente solo il noleggio del materiale), conoscendo un super appassionato mi sono iscritto. Il corso si divide in dieci lezioni, 5 teoriche e 5 pratiche più un'uscita di fine corso di due giorni. Materiali, carsismo, soccorso, biospeleologia da una parte, palestre, attrezzature e grotte dall'altra.
Concentriamoci sulla seconda parte, non che la prima non sia interessante o utile, anzi, ma se paragoniamo il fascino di una "lezione" sul carsismo, a quello di un  racconto di un'esperienza diretta in una grotta, credo di dubbi non ce ne siano.
Prima lezione pratica, Palamonti, che no, non è una grotta, ma da qualche parte le manovre le dovremo pur imparare. Ognuno di noi riceve un sacchetto numerato lo apre ed ecco cosa trova: un minestrone di ferraglia e oggetti di dubbia identità, imbrago escluso. Qualche salita, qualche discesa, qualche traverso, e allo stracciatissimo prezzo di braccia distrutte (sì, sono una merdina) e qualche scottatura da corda, ci compriamo soddisfatti la prima uscita in grotta.
Si parte per Roncobello dove strisceremo nel Buco del Castello, un complesso di grotte che si sviluppa verticalmente per 422 metri e orizzontalmente per qualcosina di più (chiedo perdono ma è la prima volta che decifro la pianta di una grotta). Dopo una buona mezz'ora per aggiustare il look siamo pronti, ed entriamo, uno alla volta, accompagnati da un istruttore ciascuno. La prima parte è forse la più divertente, si striscia per sei metri buoni, e mentre giochi al lombrico felice, senti le farfalle nello stomaco perché non vedi l'ora di entrare. Dopo due metri il sole è già un ricordo, si accendono le lampade a carburo (facendo cadere gocce d'acqua su del carburo si produce acetilene, gas infiammabile, che portato al casco con un tubo alimenta una fiammella) e ti trovi davanti la nuda roccia.
Ti cali per i primi pozzetti, che sembrano progettati apposta per prendere dimistichezza con l'ambiente e superare il cagotto, per poi arrivare al primo "buco" serio. Posizioni la sicura sul "soffitto" del buco (perdonate i tecnicismi), tremi per due minuti sull'orlo evitando di chiedere quanto sia profondo, poi ti butti, e indovina un po'? E' sicuro. Scendi, e mano a mano i vari frazionamenti iniziano a diventare semplici, relativamente, ma ti senti più sicuro. Raggiungiamo, dopo credo un paio d'ore, la sala della frana, punto a cui dovevamo arrivare. E' solo in questo momento che metti da parte la fifa e ti guardi intorno: sei dentro una montagna. Forse non riuscirò a far trapelare la vera emozione che si prova nel realizzare che sei in un luogo dove non era previsto che l'uomo arrivasse, dove per millenni hanno vissuto solo organismi semplici e ciechi, immersi nel buio più totale, col suono dell'acqua che scava nel calcare. Prendiamo fiato per un paio di minuti e partiamo, divisi in gruppetti, verso mete differenti. Stavolta strisciando più che calandoci sulle corde, arriviamo al, se non ricordo male, "10 con acqua" uno dei pozzi della grotta, caratterizzato, pensate un po', dalla presenza di acqua! Ora inizia la parte davvero faticosa, la salita. Ti agganci alle attrezzature e inizi a pedalare (è un po' diverso dall'arrampicata, anzi non c'entra nulla, qui non tocchi la parete ma fai leva sugli attrezzi), per poi strisciare, e pedalare e di nuovo strisciare. Si torna alla frana, che ha tutto un altro colore ora che sei stanco. Una grande tirata, ri-superi tutti i pozzi al bordo di cui tremavi cinque ore prima, stavolta coi crampi alle dita, alle cosce, il fiatone inizia a farsi sentire, soprattutto se, come me, sei una merdina. Alla fine, benedetto dall'infinita pazienza dell'istruttore che in realtà era un'istruttrice, almeno nella prima parte, e per fortuna, perché la sua spiccata sensibilità femminile s'è meglio adeguata alle mie non altrettanto spiccate capacità fisiche, esci.
Schema della manovra di risalita. Si porta la
maniglia all'altezza del viso, ci si spinge sul
pedale, il croll loccherà la corda mantenendoti
nella posizione raggiunta.
Per prima cosa ti accorgi della luce, poi del caldo, dei colori, del fatto che sbraneresti vivo un cervo dalla fame che hai. Ti cambi, rivesti i panni del normale cittadino, aspetti che tutti escano e poi via a mangiare tutti insieme.
Come già ho detto, le mie scarse capacità di relatore probabilmente lasceranno il lettore indifferente, ma consiglio di abbandonarsi alla curiosità e provare. Un'esperienza che ti prosciuga le energie ma regala tanto e che consiglio a chiunque ami la montagna e/o fare movimento.
Per altro il gruppo è estremamente affiatato, gli istruttori disponibili e pazienti, non si può chiedere di meglio.

Prometto che aggiornerò l'articolo aggiungendo delle foto che purtroppo non ho ancora tra le mani, senza di esse queste sono solo vane parole.

Sito dello Speleo Club Orobico

2 commenti:

Sara L ha detto...

Eheh hai reso benissimo l'eseperienza invece, caro Eddy! Pensa che leggendo mi sembrava di sentirti canticchiare " se mi riesce mi prendo un pesce, polposo sììì!"

Irina Gennaro ha detto...

bella l'immagine del lombrico felice...

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