-

martedì 13 novembre 2012

Rock Climbing Very Good

Rubrica “A spasso per le Orobie, anzi, a spasso un po’ dovunque” di Francesco Locatelli, foto di Vio Urda

 C’era una volta una bella domenica di settembre, il sole splendeva alto nel cielo azzurro, gli uccellini canticchiavano soavi canzoni, i ragazzi giocavano spensierati e incuranti dell’imminente ritorno sui banchi di scuola che sarebbe avvenuto a breve; insomma, tutto procedeva come da programma, quando ad un certo punto……. puntini di sospensione……. ritornato a casa…………. mi accorsi di una strana presenza dormiente sul divano della mia taverna!!!!! PANICOOOOO!!!! “E mò questo chi diavolo è?”

La strana presenza dormiente sul divano di casa Locatelli: Vio Urda
Sono passati ormai quattro giorni dall’arrivo di Vio a casa nostra. Vio è un amico rumeno di mio fratello, classe 1992, per 15 mesi elettricista nell’emirato del Qatar, ora improvvisato euro-tripper e da ottobre di quest’anno anche studente universitario nella città transilvena di Cluij. E’ da quattro giorni che parlo più inglese che italiano; in realtà Vio un po’ di italiano ne mastica, però è senz’altro più interessante cercare di conversare con questo simpaticissimo ragazzo tramite un tentennante inglese caricato da un improbabile accento ribattezzato poi rumen-bergamasci. Tra un very good, intercalare fisso in tutti i nostri brevi discorsi, e un let’s go to take a beer, porto Vio al pub con degli amici. Nel tragitto che va da casa allo storico ritrovo pre-serata in perfetto stile “stessa storia, stesso posto, stesso bar”, Vio mi pone una domanda di cui già da qualche giorno avevo il presentimento mi toccasse rispondere: “Cesco, why don’t we go to climb on rock this week?”. Prontamente rispondo: “don’t worry Vio, we will go on Friday!”.
Nei giorni seguenti le nostre conversazioni sono quasi sempre le stesse: donne e montagne (due culture e due vite completamente diverse, ma su questo ci siamo guarda caso intesi fin da subito!). Vio non vede l’ora di andare a scalare: catapultato in un contesto completamente nuovo, mi confida che da sempre sogna di poter arrampicare su roccia, orgoglioso mostra le foto delle sue montagne e pensandomi chissà quale alpinista provetto mi invita a casa sua per aprire un nuova via su delle pareti “rumene” ancora vergini! Da parte mia sono assolutamente ansioso di trovare qualche compagno che abbia giusto un pochettino confidenza con la roccia in modo tale che possa farmi sicura mentre salgo.
I giorni passano e il famoso venerdì si avvicina: di qualcuno che venga ad arrampicare con noi neanche l’ombra: tra studio, lavoro e impegni vari la mia lista di amici scalatori si esaurisce in fretta; rimane soltanto mio fratello, il quale seppur abbia messo un imbracatura si e no un paio di volte deve senz’altro sdebitarsi per questo spiacevole inconveniente che si è venuto a creare.



Per chi conosce il signor Toskanelli, alias mio fratello, si aspetterà di certo spiacevoli inconvenienti, parole mancate e sorprese di ogni tipo: giovedì sera, mentre sto preparando il materiale, Toska con totale tranquillità e soprattutto senza presentare scuse mi avvisa che il giorno seguente non ci sarà. Ci metto un po’ di tempo per realizzare la tragicità della situazione: mi tocca portare da solo un persona che non ha mai arrampicato (quindi fino ad oggi incapace di fare sicura, ma ci può anche stare) e che non parla italiano (estremo disagio!). Che fare? Mancare di parola? Rimandare? Rischiarla? Farsi in quattro per trovare un compagno? Con spiccata mentalità manageriale analizzo la situazione e giungo alla conclusione che:
A) serve un posto dove si arrampica sul facile, anzi, facilissimo: la falesia di Brembilla!
B) serve un dispositivo di sicurezza automatico: benedetto il giorno e colui che mi ha regalato il Grigri!
C) bisogna imparare un paio di termini stranieri: viva Google traduttore!
D) che Dio ce la mandi buona!
Venerdì mattina, suona la sveglia, ore 7.00, scendo dal letto e mi avvio verso la cucina per fare colazione: Vio, impeccabile come sempre, è già vestito e pronto per partire! La destinazione scelta è la falesia di Cavaglia, una piccola frazione di Brembilla posta ai piedi del Monte Corno. Conosco questa zona molto bene perché sulle calcaree pareti di questo promontorio si trova una facile ma appagante via ferrata che ho percorso ben tre volte. L’abitato di Cavaglia è semplicemente fantastico: posto a circa 800 metri s.l.m. è raggiungibile da una sola strada carrozzabile che si inerpica sul ripido versante orientale della Val Brembilla. Cavaglia è senz’altro un tipico borgo rappresentativo delle valli orobiche, un tempo ricche di piccoli villaggi sparsi su tutti i versanti e abitati ancora oggi da bergamaschi doc, restii al contatto con il forestiero e portatori di un dialetto duro e poco comprensibile anche da chi di dialetto ne mastica parecchio.

Ripetendo per l’ennesima volta questa strada penso al giorno in cui salirò fin qui in bicicletta: forse bisogna allenarsi ancora un po’, la salita, con tutte quelle rampe, non è di certo banale! Arrivati a Cavaglia, giusto il tempo di un paio di foto e pronti-via ci incamminiamo lungo il sentiero che porta ai piedi del Monte Corno.

Giornata eccezionale, zero nuvole, temperatura perfetta, sole di settembre ancora basso nel cielo e sfumature vivaci pronte a colorare i boschi di nocciolo. Con un po’ di sana nostalgia racconto a Vio quando a 13 anni, il giorno prima dell’esame di terza media, ho scalato per la prima volta qui, la palestra perfetta per tutti i principianti dell’arrampicata in terra brembana. Divagando con i ricordi mostro a Vio i camini e le fessure sulle quale si sviluppa la via ferrata, non potendo di certo dimenticare di quella volta in cui con un pò incoscienza la salii in una sera di pieno inverno con un amico! Quella volta, nonostante le catene fossero incrostate di ghiaccio, riuscimmo a portarla a casa; ho buone regioni di credere che anche oggi andrà tutto per il meglio!

Dopo una mezzoretta di piacevole camminata siamo arrivati al settore Lucertole, il più facile ed incoraggiante posto, che io conosca, dove si possa iniziare in totale sicurezza a praticare l’arrampicata sportiva; con facili monotiri di una ventina di metri è possibile salire senza troppi problemi grazie ai buchi e fessure più o meno presenti su tutta l’ampia placconata del settore (per dettagli tecnici, vedi qui). Preparando il materiale spiego a Vio tutto ciò che c’è da sapere su “fare sicura”, ovvero le operazioni che il compagno che rimane a terra deve compiere per permettere al primo di cordata una progressione sicura. Laddove non conosco la traduzione di un vocabolo cerco di farmi capire un po’ a gesti e un po’ in italiano, Vio si dimostra subito attento e dopo aver definito un paio di istruzioni chiave, tipo give me the rope o I’m at the top, sono pronto a partire!
Vio sale un po’ goffamente, ma sale; la paura sembra un’emozione piuttosto estranea a questo giovane ragazzo: in tutta la mattinata scala tranquillo e in un modo o nell’altro raggiunge sempre la fine della via. Ogni tre secondi si ferma e si gira ad ammirare il panorama: mai l’Italia è stata tanto osannata da un rumeno come da Vio su queste pareti. Ogni passo è un rock climbing is veeeery good, un woooooonderful day, un really good mountains in Italy sino all’incredibile esortazione in Romania climbing is more than sex!, epica citazione che di fronte al mio stupore è stata giustificata con because in Romania people fucking all the time but they never climb. Insomma gente, basta poco per capire che ci siamo assolutamente divertiti: Vio penso si ricorderà a lungo la sua “prima volta” potendo raccontare agli amici di aver imparato a scalare addirittura sulle alpi; io, messe da parte le paure e le preoccupazioni, ho potuto passare una piacevole mattinata nei luoghi che più amo mettendo alla prova il mio inglese, la mia sicurezza e il mio allenamento con un paio di salite utilizzando protezioni veloci (il giorno seguente mi aspettava infatti la ripetizione della via Comici sullo Zuccone Campelli, di ben altre difficoltà per lunghezza, qualità della roccia e distanza della chiodatura).

Un paio di foto, una mela (in due) e poi giù come dei treni verso la pianura dove ci aspettano per una grigliata. Il pomeriggio trascorre piacevole con due amici, una chitarra e po’ di sano vinello; tornati a casa subito a letto che l’indomani ci aspettano giornate difficili: io sulla Comici, e Vio, il mio fratello rumeno…..….bè Vio riparte! Vio where are you going? I don’t know mi risponde. Quel che so è che è ancora vivo e studia a Cluji, l’ho sentito giusto l’altro giorno.

3 commenti:

Luigi Marzano ha detto...

"Romania climbing is more than sex!, epica citazione che di fronte al mio stupore è stata giustificata con because in Romania people fucking all the time but they never climb" HAHAHAHAHAHAH super Vio mi manca!

Sara L ha detto...

Magistrale Cesko, come sempre quando parla di montagne e di donne (di solito degli altri!) =)

Unknown ha detto...

Davvero un bel racconto discorsivo e ricco di argomentazioni. La passione per la montagna è palese e descritta in modo impeccabile! ti cito perchè questo passo mi è piaciuto assai:"piccoli villaggi sparsi su tutti i versanti e abitati ancora oggi da bergamaschi doc, restii al contatto con il forestiero e portatori di un dialetto duro e poco comprensibile anche da chi di dialetto ne mastica parecchio."

Recenti