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lunedì 17 giugno 2013

Timshel

di Francesca Introna
Secondo una leggenda, Dio, quando creò il mondo, aveva a disposizione dieci misure di bellezza e dieci misure di dolore. Delle dieci misure di bellezza, nove le donò a Gerusalemme, e altrettanto fece con il dolore. Le uniche due misure restanti le distribuì al resto del mondo.
Il bello della letteratura, come dice sempre Benigni quando parla di Dante, è che dà il nome alle cose che tu non sai spiegare. Tutto ciò che ci succede nella vita può essere scritto, reso pulito e immortale dalla penna, e la scrittura è più di una possibilità, è una necessità del genere umano, per dare conforto e speranza a se stesso. La difficoltà del fare letteratura sta, di conseguenza, nell’originalità, nel saper raccontare qualcosa di nuovo, di inedito, soprattutto quando ci si accorge che già tra le narrazioni più antiche del mondo si trova tutta la vita umana.

Il popolo di Israele, forse proprio a causa del suo sentirsi Eletto –è l’elezione non solo un dono ma anche una condanna, un aggravio di Responsabilità- ha condensato ciò che conosceva del cuore umano nell’Antico Testamento. Ha così costretto la leggenda delle dieci misure di bellezza e di dolore ad avverarsi. Superare la profondità e la completezza delle Sacre Scritture è arduo: tanti ci hanno provato, pochi ci sono riusciti.

Jorge Luis Borges, che si dice abbia letto tutti i libri del mondo, riesce a tirar fuori dal Tutto, perfetto e compiuto, un breve mirabile racconto, ribaltando la prospettiva del mito di Caino e Abele.

Abele e Caino s'incontrarono dopo la morte di Abele. Camminavano nel deserto e si riconobbero da lontano, perché erano ambedue molto alti. I fratelli sedettero in terra, accesero un fuoco e mangiarono. Tacevano, come fa la gente stanca quando declina il giorno. Nel cielo spuntava qualche stella, che non aveva ancora ricevuto il suo nome. Alla luce delle fiamme, Caino notò sulla fronte di Abele il segno della pietra e lasciando cadere il pane che stava per portare alla bocca chiese che gli fosse perdonato il suo delitto. Abele rispose: -Tu hai ucciso me, o io ho ucciso te? Non ricordo più: stiamo qui insieme come prima. -Ora so che mi hai perdonato davvero, -disse Caino, -perché dimenticare è perdonare. Anch'io cercherò di scordare. Abele disse lentamente: -È così. Finchè dura il rimorso dura la colpa. [da Elogio dell’ombra]


Di tutt’altra pasta è la riflessione che fa quel genio che era Bruce Chatwin in “Le vie dei canti”. Il libro, peraltro meraviglioso, è tutta una riflessione sul viaggio, sul nomadismo, ed è pieno di citazioni e riferimenti ad altri scritti. Chi ha una mente modesta penserà che avrà parlato di Abramo, e invece ha parlato anche lui dei due figli di Adamo ed Eva. A quanto pare infatti la parola Abele deriva da Hebel, che in ebraico antico significa “vapore, fiato”, e dunque ogni cosa animata, e soprattutto, secondo l’interpretazione di Chatwin, ogni cosa nomade, in movimento.
E infatti Abele è il figlio pastore, che passa il tempo a pascolare pecore. Al contrario Caino deriverebbe da Kanah, “acquisire, possedere, ottenere, soggiogare”, e quindi nel nome sarebbe racchiusa non solo la violenza contro il fratello, ma la bruttura della stabilità, del rimanere fermi, e cioè la proprietà delle cose (e qui, a scanso di equivoci, rimando a “la roba” di Giovanni Verga). Caino appunto è il fratello stanziale, che vive di agricoltura.

Ultima perla che ci regala l’incontro tra letteratura moderna e letteratura antica è contenuta ne “La valle dell’Eden” di John Steinbeck. Il riferimento biblico è sempre l’illustre fratricidio, ma non faccio altri commenti perché il brano parla da solo, e parla pure benissimo. Dico solo che è un regalo a chi ha avuto la pazienza di leggere fin qui, e che contiene la spiegazione del titolo di questo modestissimo articolo. Chiedo scusa per la violenza al testo, che ho dovuto tagliare in più punti.

"Vi ricordate quando ci leggeste i sedici versetti del quarto capitolo della Genesi e poi ne discutemmo? Bene, la storia mi fece una grande impressione e me ne sono impadronito parola per parola. Più ci pensavo sopra, e più mi pareva profonda. Poi confrontai tutte le traduzioni che abbiamo, ed eran tutte molto vicine. Solo un punto mi lasciava perplesso. La versione del Re Giacomo dice così: è il punto in cui Geova ha chiesto a Caino perchè sia sdegnato. Geova dice: "Non è vero che se farai bene avrai bene; e se farai male, il peccato sarà subito alla tua porta? Ma sotto di te sarà il desiderio di esso, e tu avrai modo di dominarlo". E' quel "avrai modo" che mi ha colpito, perchè era una promessa che Caino avrebbe vinto il peccato. Poi mi sono procurato una copia della Bibbia americana. Era nuova, fiammante, e questo passo era molto diverso. Dice: "Abbi la signoria sopra di lui". Dunque è molto diverso. Questa non è una promessa, è un ordine. E io cominciai a ruminarci sopra. Mi chiedevo quale potesse essere la parola originale dello scrittore originale e come fossero potute venir fuori traduzioni così diverse. Be', mi sembrava che l' uomo che aveva potuto concepire una storia così grande avrebbe dovuto sapere bene cosa voleva dire e non ci sarebbero dovute essere confusioni nel suo modo di esprimersi. […] Ve li immaginate quattro vecchi signori, il più giovane ora ha novant’ anni, che si mettono a studiare l’ ebraico? Chiamarono un dotto rabbino. Si misero a studiare come se fossero stati bambini. Libri d’ esercizi, grammatica, fraseologia, frasi semplici. Dopo due anni sentimmo di poterci accostare ai famosi sedici versetti del quarto capitolo della Genesi. Anche i miei vecchi signori avvertivano che quelle parole erano importantissime: <<avrai>> e <<abbi>>. E questo fu l’ oro che noi scavammo: <<Tu puoi>>. <<Tu puoi avere la signoria sopra il peccato.>> I vecchi signori sorrisero e annuirono e capirono che gli anni erano stati spesi bene. Ma non vedete? La traduzione americana della Bibbia ordina agli uomini di trionfare sul peccato, e il peccato si può chiamare ignoranza. La traduzione del Re Giacomo fa una promessa con quel <<tu avrai>>, intendendo che gli uomini trionferanno sicuramente del peccato. Ma la parola ebraica, la parola timshel – tu puoi – implica una scelta. Potrebbe essere la parola più importante del mondo. Significa che la via è aperta. Rimette tutto all’ uomo. Perché se <<tu puoi>>, è anche vero che <<tu non puoi>>. Ma pensate alla gloria della scelta! E’ questo che fa di voi un uomo. Un gatto non ha scelta, un’ ape è costretta a fare il miele. “

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