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mercoledì 27 giugno 2012

Piracy of privacy. Parte Terza...

di Francesco Mancin
Segue da (leggi prima di continuare):
Piracy of privacy. Parte Prima
Piracy of privacy. Parte Seconda


[...]Sì perchè si tratta di un vero e proprio mercato, che viaggia su un doppio binario: quello della pubblicità mirata sullo specifico consumatore e quello della mera raccolta dati per lo sviluppo di prodotti.
Se avete in mente qualche meccanismo di mercato e produzione certamente saprete che lo scopo primario della pubblicità è quello di far conoscere il proprio prodotto. Soltanto poi si è arrivati ad un sistema pubblicitario fondato sul "bombardamento" audio-visivo volto a costruire nel consumatore il bisogno di quel bene. E' chiaro che gli ostacoli a qualsivoglia sistema pubblicitario sono  sostanzialmente due: enormi costi  legati alla produzione materiale della pubblicità (carta stampata, cartelloni, compravendita di settori e frequenze radio-televisive), e l'intrinseca incertezza sul numero (audience) e sul tipo (target) di pubblico raggiunto. Ovvero: alle donzelle potrebbe non interessare affatto l'ultima novità in fatto di dopobarba, eppure una pubblicità (costosissima) sulla Rai raggiungerà con buona probabilità un 50% di donne!.
A questi problemi
il mercato è venuto incontro differenziando le fasce pubblicitarie (es. non ci sono spot di giocattoli dopo la mezzanotte!) od affidandosi a pubblicità per così dire "d'autore".
Poi è stata la volta del web: niente costi di stampa, uno spazio tendenzialmente illimitato e costi relativi al design pubblicitario uguali se non minori a prima. Inoltre, la possibilità di raggiungere solo gli utenti potenzialmente interessati, così da sfruttare a pieno i propri budgets, aumentando esponenzialmente il flusso di messaggi pro-capite. Ciò agendo su pubblicità inserite in siti di settore o ben specializzati, visitati da utenti "addetti ai lavori" o appunto "arrembando" quelle enormi banche dati che il web stava lentamente costruendo. Cosicchè un social-network o un sito che distribuisce particolari servizi che trattano di dati sensibili può facilmente sostenersi vendendo alle aziende i dati su gusti, tendenze e consumi, e offrendo spazi all'interno del proprio sito di pubblicità mirata. Badate bene: a nessuno piacciono le pagine web piene di pubblicità (la homepage bianca di Google è stata la sua fortuna!), quindi attireranno più aziende coloro che sanno subdolamente nascondere le pubblicità mirate, o piuttosto coloro che, agendo su clausole contrattuali, sapranno immettere sul mercato le più svariate tipologie di informazioni. Si potrebbe dedurre, forse forzando un po' il ragionamento, che è più importante avere tante informazioni riguardo ad un pubblico ristretto piuttosto che avere a disposizione un pubblico molto vasto: solo così si può offrire il prodotto giusto ad un consumatore giusto.
Venendo alla ricerca di mercato per fini di sviluppo, francamente non saprei definire il ruolo del web in questo ambito. Non saprei trovare l'anello mancante tra la classica telefonata a casa del Call-Center, o l'esposizione del prototipo in fiera, e la capacità di intervistare l'utenza della rete senza che ciò sia palese. In tal caso il web sarebbe solo l'estensione di un modello, non già una sua rivoluzione.
Passiamo al secondo esempio: vengono sfruttati o distribuiti (sempre in un modo improprio, ma nel senso inteso sopra) dati relativi al mio mondo associazionista, partecipativo, religioso o filosofico, o perfino riguardo alle mie tendenze sessuali. In tal caso il discorso si complica, poichè oltre ad intrecciarsi strettamente con l'uso commerciale dei miei dati e del mosaico della mia identità, si posso intravedere usi legalmente illegittimi (anche fattispecie di reato), legati a trattamenti discriminatori. Ovvero: il cuore della legge sulla privacy (i dati sensibili) nasce dall'esigenza di garantire un'uguale posizione di partenza per tutti i cittadini in un dato ambito: sia quello sociale (la reputazione), sia quello lavorativo (l'assunzione, la verifica del periodo di prova, il licenziamento, il concorso pubblico), ecc. Chiaramente si dovrà trattare di ambiti in cui la divulgazione di dati sensibili può influire sui rapporti: il datore di lavoro mi licenzia perchè non condivide la mia "vita sessuale", la comunità religiosa non mi accetta perchè i miei figli sono atei, ecc. Ben inteso: non significa che questi soggetti non possono venire a sapere queste informazioni, ma significa che se il titolare dei dati non vuole divulgarli, il terzo a cui li affida non deve divulgarli, indipendente dal fatto che esista o meno un pericolo per il titolare derivante dalla divulgazione. E' questa la grande e duplice conquista: io dispongo dei miei dati liberamente, e  non importa il come e il perchè, e nessun altro (a parte gli apparati giudiziari) può costringermi a farlo in un modo specifico.
E' così che si configura non più un aleatorio diritto al rispetto della vita privata, ma una vera e propria libertà sui tasselli della nostra esistenza.
Ciò a parer mio NON esclude l'ambito della politica dalla possibilità di divulgare dati sensibili sui politici. Non mi dilungo ma valutate ciò: l'elezione della persona (e non soltanto del programma) si basa su una discriminazione morale fra i vari candidati, pertanto tutto ciò che concorre a costruire il profilo morale del candidato va tendenzialmente accettato, così come egli stesso ha scelto di candidarsi, accettando pertanto la scansione anche approfondita della propria personalità. Il politico è un soggetto che dovrebbe essere reso obbligatoriamente debole di fronte al vaglio del popolo, così da contro-bilanciare il potere che lo stesso popolo ha a lui CONCESSO. Chi ha orecchie per intendere intenda...[...]
Continua...

1 commento:

Sara L ha detto...

Ho paura di quando diventerai avvocato....

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